Enhanced Vision, Bienal del fin del mundo Mar del Plata AR
di Micol Di Veroli
2014
di Micol Di Veroli
L’essere umano pensa grazie alle immagini, esse conservano le emozioni e la vita del pensiero, lo solidificano, si addensano all’interno del processo onirico e producono un nuovo senso di realtà. Le immagini rappresentano una nuova forma di realtà all’interno della realtà stessa. Ovunque l’occhio si trovi a passare l’immagine osservata diviene pensiero, memoria e forma di educazione. L’atto del vedere giunge a noi ancor prima delle parole, il neonato osserva il mondo che gli ruota attorno ed impara a riconoscerlo ancor prima di parlare. Ma per scegliere cosa vedere e quali immagini produrre bisogna appunto esercitare una decisione visiva, una scelta determinata mediante la quale è possibile osservare le cose, soprattutto quelle che tutti hanno già visto, allontanandole dal torpore della visione contemporanea. L’iper-produzione ed ostentazione dell’immagine ha oramai anestetizzato la civiltà odierna ed ha in qualche modo sedato la carica creativa delle origini. L’immagine vista, ripresa o fotografata non è riuscita ad evitare l’asettico meccanismo di reificazione su cui si fonda il consumismo moderno e si è anzi allineata ad un processo di razionalizzazione tecnologica teso all’appiattimento di ogni forma emozionale ed alla sostituzione della realtà oggettiva con una forma di realtà mediata che in un certo qual modo rappresenta l’unica realtà visibile. L’immagine ci ricorda continuamente la sua presenza, divorando le immagini precedenti, all’insegna di una linea temporale ferma in un presente indefinito che fagocita il passato etichettandolo come obsoleto ed inadeguato. La presente installazione, composta da lenti per miopi che frazionano i punti di vista, sfocando e dimensionando l’ambiente circostante, è appunto una manifestazione creativa mirata alla riappropriazione dell’atto del vedere.
Si tratta di un ritaglio focale che porta con sé una decisione visiva mediante un “macroscopio” il quale permette di vedere ancora meno di quanto siamo abituati a fare quando ci accingiamo a guardare attraverso uno strumento artificiale.
Tale “macchina del vedere” costringe l’occhio ad un esercizio continuo di attenzione, trasformandolo in un organismo autonomo capace di celare l’essenziale che si staglia nello spazio con la sua trasparenza, fino a ridurre il segreto dello sguardo in un punto, l’oggetto-lente che da oggetto pensato per vedere può al tempo stesso essere osservato ed osservare. Questo gioco di compenetrazione tra dentro e fuori, tra l’esigenza dell’oggetto e la sua stessa essenza, dona all’occhio una sorta di onniscienza, un caos della visione che converte l’essere umano in un’entità eterna, atemporale, senza confini e senza limiti. Ogni immagine assume nuovamente uno specifico significato che di fatto la rende autonoma dall’informe delirio di immagini contemporanee. L’installazione riconcilia l’uomo con l’obiettivo primario della visione, vale a dire osservare un significato e crearne di nuovi.